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Michelangelo e Pablo Atchugarry: la ruvidità delle mani e i maestri del marmo

«Il marmo non c’era. È passato più di un anno dall’ultima volta che ho ottenuto un nuovo pezzo. Ho dovuto aspettare i tempi della montagna», racconta Pablo Atchugarry


Pablo Atchugarry tra Lecco e il mondo

A quarantacinque anni dalla sua prima esposizione a Lecco, la municipalità ha omaggiato Pablo Atchugarry con una mostra retrospettiva Atchugarry che dagli anni Settanta ha scelto il Lago di Como come sua casa d’adozione. 

Una mostra che ripercorre l’intero percorso artistico di Pablo Atchugarry, partendo dalla pittura alla lavorazione del legno, passando per l’esplorazione del bronzo, fino alla scoperta della passione per il marmo. I blocchi di questa roccia metamorfica prendono vita. Nelle mani di Pablo Atchugarry prendono forma e si slanciano verso il cielo, creando un contrasto tra il bianco della materia e l’azzurro del cielo. Tre monumentali marmi bianchi abitano Piazza Mario Cermenati, a Lecco in occasione della mostra. 

«È stato uno sforzo recuperare le statue dai privati, tante volte sono gelosi delle opere. Anche il trasporto è complicato. Abbiamo recuperato tutto nel mio studio a Sirone, e poi trasportato le opere con il camion e la gru. Queste esposte vanno dai 3mila a 5mila chili. Arrivano dalla collezione Loris Fontana, che è stato un caro amico. Ricordo ancora questi momenti tra la committenza e la realizzazione dell’opera».

La chiamata artistica di Pablo Atchugarry 

«Nel mio caso è stato spontaneo. A otto anni dipingevo vicino a mio padre, ho scoperto l’arte così. È stata una chiamata del destino. La fortuna di aver scoperto in giovane età la mia vocazione, mi ha dato modo di avere tempo per imparare. Scolpire il marmo è una tecnica difficile, ci vuole molta precisione. Ogni pezzo tolto è per sempre, bisogna assumersi la responsabilità della scelta».

Pablo Atchugarry e il primo viaggio in Italia e la scoperta del marmo

«Volevo conoscere e sperimentare. Ho privilegiato il tempo per poter lavorare, per poter fare, per quello sono venuto in Europa. Prima a Parigi poi in Italia e infine a Carrara. Mi sono dedicato del tempo per poter scoprire nuovi materiali, come la sabbia, il cemento o il legno. Nel 1979 sono arrivato per la prima volta a Carrara, dove ho scoperto il marmo. È stato come scoprire il vero amore, non l’ho più abbandonato e continua a darmi la gioia del primo incontro».

I figli della montagna: le sculture in marmo di Pablo Atchugarry

«Vado direttamente nella Cava Michelangelo dove appunto Michelangelo andava a prendere i suoi pezzi. Ora è passato più di un anno dall’ultima volta che ho preso un nuovo pezzo. Non potevo acquistare il marmo perché non c’era. Questo tipo di marmo si chiama Statuario di Carrara, è il marmo più luminoso, più trasparente. Ho dovuto aspettare i tempi della montagna».

«L’artista deve capire che è in mezzo alla natura. Deve trasmettere anche agli altri questo rispetto. Uno dei progetti che ho in Uruguay è la forestazione con piante native per dare un segnale che anche l’uomo può essere amico della foresta. L’essere umano deve cambiare il rapporto con l’ambiente che lo circonda. Stiamo vedendo questi eventi catastrofici anche in Italia, i nubifragi e gli allagamenti. I problemi del cambiamento climatico sono mondiali, riguardano tutti.  Ogni essere umano deve dare il suo piccolo contributo ma che sia un segnale forte. Dobbiamo essere custodi di questo pianeta, di questa natura perché ne siamo parte. Piantare gli alberi, consumare il meno possibile».

«L’essere umano artista, dalla preistoria, si è sempre servito della pietra. La pietra è qualcosa che ci affascina. Il consumo che un artista può fare della pietra è minimo rispetto agli altri settori. Definisco sempre le mie opere come figli della montagna. Questi che sono esposti ora in piazza a Lecco sono i figli delle montagne, delle Alpi Apuane. Prima erano attaccati alla montagna ora sono dispersi per il mondo, ma sono sempre figli suoi».

Ruvidità, brutalità e morbidezza dello scolpire il marmo, con Pablo Atchugarry

La sua arte è materica ed implica uno sforzo fisico ingente nella realizzazione dell’opera. Oggi vediamo insinuarsi sempre di più nel mercato dell’arte opere digitali, immateriali. Lei cosa ne pensa di questo cambiamento nel mondo dell’arte? 

«Io penso che l’arte debba rimanere, perciò l’arte effimera a me non interessa. Il messaggio che dà l’essere umano, l’essere artista, dovrebbe rimanere per altre generazioni. Mi piace pensare al rapporto col tempo. Il tempo che tramanda ad altre generazioni quello che ha fatto un artista. Pensiamo a Michelangelo, all’attualità di questo genio, sono passati cinquecento anni. C’è un circuito virtuoso che collega la mente quindi l’immaginazione, il cuore quindi il sentimento e le mani, la manualità. Tutto passa tramite questo circuito. Bisogna aspettare il tempi che la natura ci dà. Non avere tutto subito. Oggi ci stiamo abituando al bisogno urgente di avere i risultati quando a volte i risultati bisogna aspettarli».

Pablo Atchugarry a Palazzo Reale nella sala delle Cariatidi

Le Quaranta Cariatidi realizzate dagli scultori Callani e Franchi, danno il nome alla sala al primo piano di Palazzo Reale. Il 15 agosto 1943 fu una giornata tragica per la città di Milano. Centoquaranta bombardieri Lancaster della Royal Air Force britannica assaltarono il centro città colpendo il patrimonio storico-artistico tra cui il Castello Sforzesco, la Basilica di Sant’Ambrogio, il Teatro dal Verme e Palazzo Reale.  I segni di quella tempesta di fuoco sono ancora visibili nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, mai restaurata. Il tetto sopra la sala collassò, portando con sé i dipinti, gli stucchi e le decorazioni più gloriose del Neoclassicismo milanese, tra cui l’affresco di Francesco Hayez, realizzato nel 1838, raffigurante l’Apoteosi di Ferdinando I. Tra il 2021 e il 2022 la Sala delle Cariatidi ospitò la personale di Oltre quaranta statue tra bronzi e marmi, dialogavano con l’architettura segnata dal tempo sottolineando il contrasto tra la purezza delle opere e la ruvidità dei bassorilievi mutilati dai bombardamenti. 

Ho visitato la mostra nel 2022. All’ingresso era replicata la bottega, con gli strumenti dell’artista, scalpelli, seghe elettriche e casse per imballare le opere. Varcando la soglia della sala, i soffitti alti, i colori tenui delle pareti e la lucentezza delle opere creavano uno scenario immaginifico. La mostra era gratuita per volontà di Pablo Atchugarry.  

«Credo che l’arte debba essere inclusiva. A volte chiedere un biglietto di ingresso può essere una barriera. Penso alle famiglie, ai bambini, ai giovani. Quando uno entra nella propria abitazione, nessuno gli chiede un biglietto. Per  me, l’arte è la casa di tutti e quindi bisogna che ci aspetti con le braccia aperte».

MACA, Museo di Arte Contemporanea Atchugarry e la Fondazione Pablo Atchugarry

C’è una preoccupazione comune tra artisti e collezionisti. Dove finiranno le loro opere, il frutto di una vita, la passione che li ha sempre accompagnati dopo di loro? Da qui è nata l’idea di costruire un museo nella Fondazione Pablo Atchugarry, il MACA, Museo di Arte Contemporanea Atchugarry a Punta de l’Este. «È l’eredità culturale che lascio all’Uruguay. Penso che il MACA apparterrà all’umanità e che, come una nave carica di arte, di vita e di sogni, ci condurrà in un mondo di maggiore comprensione e amore».

Il MACA, inaugurato a gennaio 2022, è il primo e solo museo in Uruguay che promuove l’arte contemporanea globale. Esteso su novanta acri di paesaggio naturale, il museo ambisce a diventare un polo creativo per la sua comunità. Anche il disegno architettonico del museo è una creazione Pablo Atchugarry. Il MACA presenta opere d’arte in cinque sale espositive e un parco di sculture circostante, composto da settanta opere monumentali di artisti internazionali. 

«Quello che faccio con la fondazione e il MACA è una corrispondenza, un dialogo tra l’arte delle Americhe e l’arte italiana. Esponiamo opere di Arcangelo Sassolino, Mauro Staccioli, Paolo Minoli, e Bruno Munari. L’unione dell’arte serve anche per unire i popoli. C’è una buona presenza di artisti italiani italiani sia nella fondazione in Uruguay e anche a Miami. 

Stiamo organizzando per il prossimo anno due grandi mostre. La prima una personale di Torres García che è stato un costruttivista nato in Uruguay però poi formatosi a Barcellona e a Parigi. Ha avuto un’attività internazionale. L’altra per celebrare i centocinquant’anni dalla nascita di Bruno Munari, curata da Marco Meneguzzo. Lo scopo della fondazione è anche diffondere l’arte.
Più giovani sono gli spettatori, più avranno possibilità di scoprire e di scoprirsi se stessi. Sono percorsi espositivi per l’essere umano».

Pablo Atchugarry tra Lecco e il mondo

«Io dico che è una mostra in cui c’è dentro il cuore, perché sono quarantacinque anni che io ci abito in questa città. La prima mostra che ho fatto in Europa, in Italia l’ho fatta a Lecco, una mostra di pittura. In questa antologica saranno presenti opere di tutti questi decenni di attività sul territorio.
A partire dalla pittura, dal disegno, alle prime sculture in sabbia e cemento e legno, fino alle ultime in marmo di Carrara, o in marmo rosa del Portogallo, e anche i bronzi. Per me significa omaggiare la città, omaggiare il territorio, omaggiare l’Italia».

Pablo Atchugarry 

Nato a Montevideo, in Uruguay, nel 1954, Atchugarry ha fatto della città di Lecco la sua casa e una fonte d’ispirazione. Attraverso le sue opere scultoree e artistiche, ha portato il nome di Lecco sulla scena mondiale. Nel 2018 è stato insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia dal Presidente Sergio Mattarella, riconoscendo il suo contributo culturale a livello internazionale. Atchugarry è influenzato dal lavoro fondamentale di Constantin Brancusi e Henry Moore, e spesso viene paragonato a Michelangelo per la sua simile devozione a lavorare con le proprie mani (in contrasto con le pratiche di bottega di molti suoi contemporanei).

Domiziana Montello

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