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Pablo Atchugarry in mostra a Lucca con le sue sculture monumentali

Intervista all’artista uruguaiano, le cui opere saranno visibili nel capoluogo toscano fino al 4 settembre.

Si è aperta lo scorso mese a Lucca, e chiuderà il 4 settembre, una mostra pubblica da non perdere: “Il risveglio della Natura” di Pablo Atchugarry.

Sculture monumentali in marmo, bronzo e legno che sembrano librarsi verso il cielo, in un abbraccio simbolico degno di un artista come Atchugarry, ritenuto uno dei più importanti esponenti viventi dell’arte contemporanea.

Il percorso si snoda all’interno della cerchia muraria cinquecentesca, nelle vie del centro, sui sagrati delle chiese e in due sedi espositive indoor. Più in dettaglio: opere solo lignee sono accolte nella Chiesa Santa Maria dei Servi (sculture in olivo, in rovere, in altri tipi di legno), mentre opere in marmo bianco di Carrara, nero del Belgio e rosa del Portogallo sono state collocate nel Palazzo delle Esposizioni, insieme ad alcuni bronzi. Cinque opere hanno trovato invece spazio all’aperto, nei principali luoghi d’interesse del centro storico: piazza San Martino, l’Agorà, piazza San Michele (l’antico foro), Porta San Pietro, sulle mura in corrispondenza del baluardo di San Frediano.

L’allestimento in esterno proseguirà fino al 30 settembre.

Quella di Pablo Atchugarry è una scultura astratta dallo stile inequivocabile, inclusa in numerose collezioni sia pubbliche che private (molte delle quali proprio a New York). Di lui colpisce subito la gentilezza dei toni, e la profondità originale di riflessione, come quando fa notare: “Un giornalista non è poi così diverso dallo scultore: il primo scava in profondità nel personaggio che ha davanti, esattamente come io faccio con il marmo”.

Nato a Montevideo, il prossimo 23 agosto compirà 68 anni. La natura, per Atchugarry, è da mettere al primo posto: “Il pianeta soffre. Siamo una unità: cerchiamo di coltivare ponti e non muri”.

Il suo legame con l’Italia a quando risale?

“Bella questa domanda, sa? Il mio legame con l’Italia è nato quando avevo 12 anni. Alle scuole elementari in Uruguay, la mia patria di origine, si studiava l’Europa. A me toccò parlare dell’Italia.  Mio padre cercò nel Consolato italiano a Montevideo alcuni depliant. Trovò informazioni sul Lago di Como. Fu così, per un appuntamento strano del destino, che a soli 12 anni mi ritrovai a parlare del Lago di Como e anche del marmo di Carrara. Fu un incontro culturale, con il senno di poi,  rivelatosi determinante nella mia vita. Oggi infatti abito sul Lago di Como e lavoro il marmo di Carrara. Il legame con l’Italia, pertanto, è nato ancora prima di visitarla”.

 Dove è stata la sua prima mostra?

“A Montevideo. Parliamo dell’anno 1972. La prima volta in Europa è stata in Italia, a Lecco, nel 1978. È dal 1982 che abito e lavoro qui, anche se nella mia vita viaggio spesso tra Italia ed Uruguay”.

Che significato ha il marmo per lei?

“È un viaggio nel tempo. Un viaggio che abbraccia Michelangelo, Canova, Bernini, Brâncusi, Henry Moore…, abbraccia tutti gli scultori che hanno subito il  fascino fatale di un incontro unico, che poi non ti fa più abbandonare questo materiale”.

Di materiali, nelle sue opere, ne usa tanti. Se ne dovesse scegliere uno, a quale non saprebbe rinunciare?

“Il marmo è la colonna portante del mio lavoro. Nello specifico, sono ben quattro i tipi che utilizzo: lo statuario di Carrara, il grigio della Garfagnana, il nero del Belgio e il Rosa del Portogallo. Sicuramente è lo statuario di Carrara quello che mi affascina di più”.

Qual è secondo lei la missione di uno scultore?

“Per dirla come Michelangelo, anche se non è stato certamente il solo a pensarla così, la scultura è già dentro nel blocco di marmo. Alla fine, la missione dello scultore è di scoprire che cosa abiti nella montagna. Personalmente, dico sempre che le mie sculture sono i figli della montagna, quindi i figli delle Alpi Apuanee. Questi figli devono poi vivere la loro vita”.

A chi si trova a passare per Lucca, che cosa in particolare consiglia di non perdersi della mostra?

“Questa è una mostra che illustra abbastanza bene il mio sguardo e anche la mia ricerca artistica attraverso materiali diversi. Non è un caso che si intitoli “Il risveglio della Natura”, che di fatto è il mio messaggio finale: l’essere umano si deve risvegliare e capire che siamo parte della natura. Dobbiamo abbracciarla e andarle incontro”.

Come definirebbe oggi il suo rapporto con l’Uruguay?

“Ancora molto forte. È la terra dove sono nato. Quindici anni fa lì ho costituito una Fondazione che porta il mio nome. A Punta del Este è stato aperto a gennaio scorso il primo importante museo d’arte moderna e contemporanea dell’Uruguay. Il progetto è l’ultimo di una sequenza di strutture realizzate, appunto, dalla Fundación Pablo Atchugarry.

L’Atchugarry Museum of Contemporary Art (MACA) è circondato da un parco di 40 ettari, dove esiste un profondo dialogo con artisti italiani, che sono presenti nel parco, e in cui le sculture in mezzo alla natura è come se prendessero vita”

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